|
"I latino-americani"
Intervista di Maria Bonatti a Emir Rodríguez
Monegal
En Alfabeta, nº 56, enero 1984
p. 11
"ll 24 settembre, Emir Rodríguez Monegál, professore
di letteratura latinoamericana contemporanea alla Yale University
e preside del Latin American Studies Council, ha ricevuto a Treviso
il premio Comisso per la saggistica. L'opera premiata era la sua
monumentale biografia di Borges (Borges. Una biografia letteraria),
uscita negli Stati uniti nel 1978, e pubblicata in Italia dall'editore
Feltrinelli nell-autunno 1982. Oltre che sul piano letterario, Rodríguez
Monegál è un intelettuale politicamente attivo (si
veda a questo proposito l'intervista rilasciata a Saverio Tutino
su Repubblica dell'11 ottobre 1983); qui abbiamo però
affrontato il versante letterario e saggistico del suo lavoro.
Maria Bonatti, che ha condotto l'intervista, lavora all'Istituto
di spagnolo della facoltà di Scienze politiche della Statale
di Milano. Ha, soprattutto, una lunga consuetudine con Monegál;
già sua allieva a Yale (con lui ha discusso la propria tesi
di Ph. D.), ha contribuito alla diffusione dei suoi lavori in Italia
(anzitutto, proponendo a Feltrinelli la traduzione del saggio su
Borges). Rodríguez Monegál ha deciso di discutere
con lei le regioni delle sue ricerche, la 'figura' di Borges nel
panorama della letteratura latino-americana -e soprattutto gli esiti
attuali, e il destino, di questo filone narrativo che, dopo una
effervescenza quasi ventennale, sembra ora giunto, se non a un punto
morto, almeno a una inquietante impasse.
Borges
D. Quand'è che lo scrittore Borges comincia
ad essere conosciuto internazionalmente?
Emir Rodríguez Monegál. Il lancio internazionale
di Borges avvienne nel '61, quando sette grandi editori europei
e americani, riuniti nell'isola di Formentor, decidono di assegnare
il primo Premio letterario omonimo a pari merito a Borges e a Samuel
Beckett. Questo riconoscimento proietta lo scrittore argentino nel
mondo occidentale e lo rivela al grande pubblico. Da quel momento
l'opera di Borges incuriosisce e attrae sempre più gli editori
e i lettori europei e statunitensi. Si pubblicano in continuazione
i suoi racconti, poemi, saggi, tanto che oggi è lo scrittore
ispanico di maggior risonanza internazionale, e viene sempre citato
quando si parla dei quattro o cinque maestri della nuova letteratura
del XX secolo. Anche la sua personalità ha suscitato un enorme
interesse. Borges non è più semplicemente un testo
letterario a uso di lettori specializzati, ma è diventato
uno scritore popolare dotato di una personalità che incuriosisce,
una specie di anziano apocalittico, cieco, con un'ironia particolare
e un senso meraviglioso di ciò che è soprannaturale
e fantastico.
D. Com'è nata la tua biografia letteraria
di Borges, e cosa consideri come "biografia letteraria"?
Emir Rodríguez Monegál. Più di dieci
anni fa, negli Stati uniti, mi chiesero di scrivere una biografia
di Borges. Accettai, a patto che fosse una biografia "letteraria",
perché sapevo perfettamente che la vita intima di Borges
non si può raccontare, nella misura in cui a me non interessa
il pettegolume, e che l'aspetto più importante è la
sua vita letteraria. L'editore accettò e cominciai a lavorare
precisamente con l'idea che quel che rende interessante la vita
di uno scrittore è come produce la sua opera. Un fatto importante
è il processo di apprendimento della lingua in cui scriverà:
la "lingua materna", che nel caso di Borges si complica
perché ci sono due lingue -oltre allo spagnolo, egli parla
inglese dall'infanzia-. Quindi, l'apprendimento delle techniche
letterarie, i modelli. Perciò è molto importante quel
che si chiamava la "biblioteca ideale" dello scrittore.
Borges aveva già una biblioteca in casa, quella del padre.
Dato che il padre era di origine inglese e parlava pure inglese
con la moglie, la biblioteca era fondamentalmente inglese. Così
è nata la biografia letteraria in inglese di Borges, uscita
nel 1978 in Usa. Grazie a te, che l'hai portata in Italia, e ad
amici come Aldo Tagliaferri della Feltrinelli e a Lucia Re che l'ha
tradotta molto bene, l'opera è stata pubblicata in italiano
e ha vinto addirittura un premio.
D. Che effetto ha avuto Borges sul cosiddetto
boom della letteratura latinoamericana?
Emir Rodríguez Monegál. In un certo senso,
è stato come la dinamite che fa esplodere una diga
La letteratura latinoamericana esisteva molto prima di Borges, e
prima che lui diventasse così famoso. È una letteratura
che ha già vari secoli di storia, ma l'interesse suscitato
dall'opera di Borges ha fatto sì che molti lettori, critici,
editori, si chiedessero: "Da dove proviene questo scrittore?".
Hanno cominciato a informarsi e naturalmente hanno scoperto che
non solo esisteva una plurisecolare tradizione narrativa latinoamericana,
ma che essa era anche oltremodo interessante poiché, a parte
Borges, in Argentina vivevano Bioy Casares, suo collaboratore e
uomo di grande immaginazione, e Julio Cortàzar, scoperto
da Borges e da lui pubblicato per primo in una rivista. Vennero
alla luce altri nomi: Rulfo e Carlos Fuentes in Messico, Gabriel
García Márquez in Colombia; a Cuba comparvero prima
José Lezama Lima, poi Guillermo Cabrera Infante, Severo Sarduy,
Reynaldo Arenas; più tardi Manuel Puig in Argentina -tutti
scrittori emersi e divenuti internazionali dopo il '61. Molti di
loro erano già conosciuti -come, in Uruguay, Juan Carlos
Onetti, che pubblicava fin dal 1939- ma, a partire dal 1961, varcarono
i confini del proprio paese ottenendo l'interesse del lettore internazionale.
Questo fenomeno venne definito "il romanzo latinoamericano",
o "il nuovo romanzo" -io preferisco chiamarlo così-
o il "boom", come lo chiamano invece i giornalisti argentini,
imitando un po'gli italiani che parlavano del boom economico. A
partire dagli anni sessanta fino alla fine dei settanta, si cominciarono
a tradurre ovunque opere di questi e di altri scrittori, come Roa
Bastos e José María Arguedas, o i brasiliani Guimarães
Rosa e Clarice Lispector. Fu come se all'improvviso, nello scavare
il suolo per cercare un anello smarrito, si fossero trovati i tesori
di Alì Baba.
Il boom latinoamericano
D. Che ne è stato del boom?
Emir Rodríguez Monegál. Me lo chiedono in
molti e, sebbene io non pretenda di essere esaustivo -perché
al critico non tocca spiegare l'universo ma solo l'opera letteraria,-
credo tuttavia che non si possa capire il boom, cioè la scoperta
di tutto questo ricco materiale letterario, se non ci si rende conto
che dall'inizio degli anni settanta si sono verificati in America
latina fenomeni politici, sociali ed economici che hanno determinato,
pero così dire, quasi una paralisi del normale processo di
circolazione letteraria.
Paesi interi sono scomparsi per ragioni politiche, o magari economiche.
Anche il mio paese, l'Uruguay, è caduto nelle mani di una
dittatura militare, che ha drasticamente tolto dalla circolazione
quasi tutti gli scrittori, con mezzi più o meno violenti;
molti di loro sono andati in esilio, prima in Argentina e poi altrove.
In Argentina è accaduto più o meno lo stesso: molti
scrittori sono stati costretti a emigrare, altri sono "desaparecidos",
come Haroldo Conti. In Cile, a partire da Pinochet, è avvenuto
un identico processo. Anche in Brasile, dove questo fenomeno si
verificò prima, ma non così drasticamente, gli scrittori
hanno dovuto subire il peso della dittatura: censura, emigrazione
o esilio.
In seguito, è arrivata la crisi economica e ciò che
non erano riusciti a distruggere i militari ha finito per distruggerlo
l'inflazione. Le case editrici ispanoamericane hanno ridotto pesantemente
le pubblicazioni. Gli scrittori, che non vivono immersi nel vuoto
ma nel mondo della lingua in cui scrivono, sono dovuti ricorrere
all'esilio, che spesso ha provocato loro notevoli difficoltà
nel conservare integra la propria lingua e il proprio mondo.
Molti allora cambiarono stile, alcuni con successo, altri senza.
Quelli rimasti nei paesi d'origine sentirono molto ridotta la propria
capacità produttiva. Tali fenomeni hanno fatto sì
che quella ricchezza accumulata in vari decenni si esaurisse senza
poter essere rinnovata -come quando su un terreno fertile piombano
all'improvviso siccità, cattivi amministratori, terremoti,
tifoni, ecc., facendo danni irreparabili. È grosso modo quanto
è successo alla narrativa latinoamericana, il che non vuol
dire che il romanzo si sia completamente esaurito.
D. Che prospettive vedi dunque per il futuro
del romanzo latinoamericano?
Emir Rodríguez Monegál. Alcuni scrittori giovani
che hanno iniziato a pubblicare quasi allla fine del boom -come
Severo Sarduy, Manuel Puig, Reynaldo Arenas,- si sono rivelati interessanti
fin dal primo o secondo romanzo. Sono quindi autori sull'onda del
boom che, malgrado tutto quanto è successo tra il '72 e il
'74, sono maturati negli ultimi dieci anni. Altri, per le particolari
circostanze che ho detto prima, hanno pubblicato poco o hanno fatto
trascorrere molto tempo dopo il loro primo romanzo- insomma scrivono
con magior difficoltà.
Penso al peruviano Alfredo Bryce Echenique, che dopo il successo
di Un mondo per Julius in esilio, non è più
riuscito a produrre un testo altrettanto valido; al messicano José
Emilio Pacheco, che in questi ultimi anni ha portato avanti, parallelamente
alla sua importante opera poetica, una narrativa molto singolare.
Bisognerebbe anche includere Elena Poniatowska, anche lei messicana,
che ha inventato una specie di romanzo-reportage; e, del Brasile,
Nelida Piñon, continuatrice originale della narrativa di
Clarice Lispector.
Penso al caso di Rodolfo Rabanal, argentino, che ha pubblicato
un romanzo in cui l'intera situazione argentina dei "desaparecidos",
di crimini misteriosi a opera del potere, appare presentata in uno
stile in cui i fatti non si raccontano chiaramente, non sono identificati,
ma riflettono indubbiamente la vita claustrofobica e soffocante
dell Argentina.
Alcuni scrittori usano l'allegoria o una delirante parodia per
rappresentare il proprio paese, come il brasiliano Ignacio de Loyola
Brandão, che a causa della censura ha pubblicato Zero,
il suo primo libro importante, prima in Italia, da Feltrinelli,
che in Brasile. Vi si narra non dell' America latina, ma dell'"Americalatindia":
è un'evidente allegoria della morte, delle torture, del terrorismo
praticato dalla polizia in quel paese.
Potrei dire -e qui arrivo al nocciolo della tua domanda- che tutti
questi autori che ho citato, pur continuando con diverso stile una
letteratura che senza dubbio è di grande interesse, non raggiungono
pero ora l'altezza e il livello degli altri del cosiddetto boom,
perchè non hanno avuto la possibilità di sviluppare
la propria opera con la tranquillità necessaria. Un romanzo
non si scrive in tre giorni: se è scritto in tre giorni,
forse è meglio non leggerlo.
Qualche prospettiva
D. Stilisticamente, trovi che questi giovani
scrittori abbiano rinnovato qualcosa o invece continuino sulle orme
di García Márquez o Vargas Llosa ?
Emir Rodriguez Monegál. Molti non sono riusciti a
liberarsi dai modelli. Il successo di García Márquez,
in particolare, ha dato vita a una generazione di scrittori più
o meno fantastici che scrivono in un linguaggio iperbolico e che
io francamente detesto. Quasi in ogni paese americano è spuntato
un garciamarquesito che si spreca in enormi iperboli, dove gli uomini
sono smisuratamente dotati dal punto di vista sessuale, le donne
gemono delirando e gli uccellí devono gareggiare con le signore
che si alzano in vuolo, e così via. Tutto ciò succede
molto facilmente quando uno scrittore trova una formula che si possa
imitare senza molta fatica. Arriverei a dire che tra le vittime
del "marquesismo" c'è oggi lo stesso Márquez,
che si è visto costretto a imitare se stesso per conservare
il proprio pubblico.
Scrittori di questo genere, alcuni dei quali hanno avuto molto
successo -come Manuel Scorza,- non mi interessano. E quanto è
capitato anche a Manuel Puig. Quando diventò famoso con quegli
intrecci di cameriere sedotte, tango, boleros e sentimentalismi,
spuntarono di colpo in Argentina dieci o dodici puigcitos (piccoli
Puig) che cominciarono tutti a raccontare storie di periferia, di
signorine abbandonate e di furtive lacrime. Tutto ciò funziona,
ma non produce nulla.
Penso piuttosto a scrittori come l'uruguaiano Mario Levrero o il
brasiliano Raduar Nassar o altri già citati che, pur riflettendo
una realtà simile a quella di García Márquez
o di Vargas Llosa, non scrivono necessariamente lo stesso genere
di romanzo. Non dimentichiamo che il nuovo romanzo del periodo del
cosiddetto boom fu anche caratterizzato da una sperimentazione narrativa
portata all'estremo, per cui era inevitabile una certa sobrietà
stilistica nel periodo successivo.
I nuovi scrittori preferiscono uno stile asciutto e lineare, con
il ritorno a certe strutture elementari della narrativa. Ora c'è
perfino una tendenza a scrivere romanzi più brevi e compatti.
D. In conclusione, tu non sei più molto
pessimista sul futuro del romanzo latinoamericano?
Emir Rodríguez Monegál. No, non sono pessimista,
perché penso che l'unico modo di interrompere questo processo
sarebbe di eliminare tutti i latinoamericani. E finora, nonostante
i tentativi di molti dittatori, non ci sono ancora riusciti."
|